ELISABETTA BENASSI
source: artsynet
Conceptual artist Elisabetta Benassi draws upon historic and personal archives as the foundation for her practice, all the while questioning their particular representations of facts. One of her best known series of watercolors, “All I Remember” (2011), features original journalistic photographs of explosions in the 20th century; these are presented as enlarged watercolors of the photographs’ backs, including notes and inscriptions. Her other projects often concern a mix of both forgotten and commonly known tidbits of history, like Adolf Hitler’s purchase of a Volkswagen Beetle, a Russian demonstration against the Ku Klux Klan, or the murder of the Italian politician Aldo Moro. Benassi’s projects take form in a variety of mediums, including video, installation, and photography.
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source: iedfactory
Nata a Roma nel 1966.
Ancorata tra i nodi irrisolti e i temi più controversi della tarda modernità, l’opera di Elisabetta Benassi percorre uno spazio difficile, quello del nostro presente, sollecitando in chi guarda una nuova messa a fuoco emotiva e morale.
Le sue immagini sono concentrate, dense, insidiate dalla coscienza di una deriva, insieme corporee e fantasmatiche, come le navi in secca di un suo video o indefinibili e sempre diverse come i suoi Suoli.
Dei personaggi appaiono talvolta in questi scenari: sono maschere inquietanti, gemelli o sosia che la accompagnano in un’esplorazione notturna o anche esseri ibridi, metà macchine e metà uomini, oscuri cospiratori e vagabondi. Sullo sfondo emerge sempre una domanda sulla nostra condizione attuale, un’investigazione sui futuri possibili, sulle utopie irrealizzate, sui sogni e i fallimenti. Acuire la coscienza: per Elisabetta Benassi l’arte è ciò che può rendere possibile, nella lucidità del distacco, il rinnovarsi di un contatto col reale.
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source: the-artistsorg
Elisabetta Benassi was born in 1966 in Rome, Italy, where she continues to live and work. Benassi creates densely emotive installations, photographs, performances and videos. Her work is rich in literary, cinematographic, psychoanalytical, and political references. Her videos in particular suggest two self-conscious and conflicting visions of the world: one that is rational and technological, which contrasts another, more amorphous, dream-like and emotional. The protagonists of Benassi’s work tend to be androgynous, anxiously formulaic doubles or twins: symbolic figures that animate a reality at once shocking and visionary…
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source: torinofreeit
L’operato di Elisabetta Benassi scruta uno spazio difficile: il nostro presente. L’artista indaga puntigliosamente sul rapporto tra ieri e l’oggi. Sullo sfondo dei suoi lavori appare sempre una domanda sulla condizione e l’identità attuali, sui loro nessi col passato storico, e una spinta a riconsideralo, guardandolo in controluce. Ricostruire una leggibilità del reale e ampliare il campo della coscienza diventano così le operazioni fondamentali del suo lavoro. Secondo il modus operandi dell’artista ogni oggetto conserva in sé le tracce dei suoi momenti di vita e dei legami con altri oggetti, spazi e persone; ogni elemento ha in sé la giustificazione della propria esistenza e può creare una serie infinita di relazioni con il mondo esterno. La mostra, realizzata seguendo la tradizionale consuetudine di dialogo tra opere di artisti ospiti con quelle di Mario Merz, rappresenta la sintesi di una ricerca che Benassi porta avanti da molti anni. Ogni lavoro di Mario Merz è stato indagato con passione e curiosità; In esposizione alcuni lavori dell’artista Povero realizzati tra gli anni Sessanta e Settanta e sei installazioni della Benassi appositamente realizzate per il progetto, tra le quali emerge l’opera MareoMerz, perno dell’intera rassegna espositiva. Si tratta di un’installazione costituita da un importante oggetto di uso quotidiano appartenuto a Mario Merz, la sua ultima automobile: Elisabetta Benassi ne celebra la riapparizione “ripescandola”, letteralmente, dal passato e impigliandola in una rete da pesca cosicchè l’oggetto diventi l’anello di un racconto umano che si lega, per circostanze insolite, alla storia collettiva. L’installazione potrebbe essere definita come una vera e propria rappresentazione di energia, quell’energia cara a Mario Merz, energia nella processualità del fare, energia intrinseca alle cose. Per Merz infatti, come lui stesso affermava, gli oggetti sono molto più che semplici oggetti: «I vetri rotti sono i violinisti, le lance sono l’organo, le fascine hanno un suono meraviglioso. Che vuoi di più. Certo bisogna credere che le strade e le case siano piene di gente». L’arte, dunque, non opera più sull’oggettiva constatazione della realtà ma lavora piuttosto sul piano scosceso del suo rapporto con la vita.