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Liu Bolin and Carlos Cruz-Diez

Liu Bolin x Carlos Cruz-Diez

Liu Bolin and Carlos Cruz-Diez

source:liubolinstudiocom
Liu Bolin was born in 1973 in Shandong, China and studied sculpture at the Central Academy of Fine Arts in Beijing, graduating with an MFA in 2001.Better known as “The Invisible Man” in media circles. He discusses the social concerns of his home country through his artistic practice, most prominently through his ‘camouflage’ installations. Traversing mediums such as performance, photography, Liu Bolin dissects the tense relationship between the individual and society by ‘disappearing’ into environments which are sites of contention and criticism. His “Hiding in the City” series has been displayed in numerous museums and institutions across the globe. Inspired by his powerful visual messages, artists and institutions and organizations such The Louvre (Paris, France), Harper’s Bazaar Magazine, JR, Carlos Cruz-Diez, Jon Bon Jovi and Kenny Scharf have invited Liu Bolin to collaborate on creative projects.
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source:artnetfr
Liu Bolin (chinois, né le 7 janvier 1973 dans la province de Shandong) crée des œuvres fascinantes mêlant l’art de la performance, la photographie et un esprit de protestation. Dans ses performances intitulées Camoflage, Bolin se recouvre de peinture pour se fondre parfaitement dans le décor de la scène photographiée. Bolin étudie tout d’abord au Shandong Arts Institute, puis reçoit son Master en sculpture de l’Académie centrale des Beaux-Arts de Pékin. Pour réaliser ses œuvres, Bolin choisit souvent des sites qui regorgent de symboles de la révolution culturelle chinoise ou suggérant les grands changements du pays depuis la chute du régime de Mao Zedong.

Avec l’aide d’assistants, il peut passer jusqu’à 10 heures à peindre son propre corps pour ressembler à une partie du site, avant de se prendre en photo debout à l’intérieur de la scène dans laquelle il parvient à disparaître. Les endroits choisis par Bolin vont des décombres des tremblements de terre dans la campagne chinoise aux mots du Manifeste Communiste écrits sur un mur. Selon l’artiste, sa série Camoflage est une métaphore de son sentiment d’anonymat et de l’ostracisme qu’il rencontre en tant qu’artiste contemporain en Chine. Suite à la fermeture de son studio par les officiels chinois en 2005, son travail devient plus ouvertement politique, ce qu’il appelle « une protestation silencieuse… une protestation contre l’État. » Bolin expose son travail à Pékin, Shanghaï, Paris, New York, Miami et d’autres villes à travers le monde. Il vit et travaille actuellement à Pékin.
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source:artribunecom
Sin dal 2005, lo scultore, fotografo e performer ha previsto di dipingere sapientemente il suo corpo fino a fondersi con l’ambiente circostante. Non un semplice invito, ma una sfida a stanare l’artista in filigrana davanti ai monumenti o agli scaffali dei supermercati, che certo strizzano l’occhio ai prodotti in serie del Made in China, oltre che alla cultura pop degli Anni Sessanta. O davanti a location d’“arte povera”, come la montagna di rifiuti a Bangalore. Non solo una forma di autoprotezione, come nel mimetismo animale, ma un’eco di visibilità per opporsi alla perdita d’identità dell’uomo contemporaneo e per affermare la libertà dell’arte.

Suo primo gesto creativo è la serie Hiding in the city (2005), tra i luoghi noti e segreti della Cina contemporanea all’indomani della Rivoluzione culturale: come gli scatti davanti alla storica piazza di Tienanmen e al Muro dei 9 Dragoni e, ancor prima, tra le macerie del suo studio, nel quartiere del Suojia Village, abbattuto per decisione del governo locale. Il suo nascondersi diventa allora un grido di dolore soffocato. Una sorta di elaborazione del lutto. A fronte di una società cinese in rapido cambiamento, vi è un passato che resiste e si conserva tenacemente intatto nella successiva serie di Hiding in Italy. Sono gli scatti, alcuni inediti, di un moderno viaggiatore del Grand Tour, realizzati tra il 2008 e il 2017. Un viaggio di conoscenza fra i capolavori del passato e, perché no, tra i prodotti tipici del Made in Italy – come nella sezione Fade in Italy ‒, per svelare il genius loci, che, ancora, aleggia in quei luoghi inimitabili (e non riproducibili). Dapprima nella città scaligera di Verona, dove stringe il fortunato sodalizio con la Galleria Boxart. O all interno della Galleria Borghese, a “scimmiottare” la statua di Paolina Borghese. Lo vediamo poi giocare a nascondino in Piazza San Marco e davanti a Castel Sant’Angelo, con l’infilata di sculture di Bernini. O nel Tempio di Apollo a Pompei, con la vista del Vesuvio dietro alle maestose colonne. Fino a scomparire nella Reggia di Caserta o tra i marmi del Colosseo, indiscusso simbolo di tutta la civiltà umana.

Com’era naturale, nell’era della globalizzazione, il suo viaggio lo porta ben presto nel resto d’Europa e del mondo (Hiding in the rest of the world). Liu Bolin è dovunque con le sue prodigiose sparizioni e la serie delle bandiere alla Jasper Johns. I suoi camouflage piacciono anche ai grandi brand di moda e non stupisce vederlo aggirarsi inquieto negli atelier di Valentino o tra i ghiacci dell’Islanda per la campagna di Monclear, nella sezione più fashion della mostra (Cooperations). Dopo le vignette in serie di Charlie Hebdo del 2015, un altro dramma si consuma infine nell’ultima sezione, dedicata al tema ricorrente dei migranti. Altri invisibili giunti sui loro barconi, con i loro corpi di una stessa unica umanità, al di là del colore della pelle, sulla spiaggia ocra della Sicilia o lo sfondo blu Klein della bandiera europea. A conferma dell’empatia dell’artista a calarsi nelle realtà più diverse.