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Aron Demetz

The Concise Woodsman

Aron Demetz  The Concise Woodsman

source: culturacolectiva

Aron Demetz (1972) es un escultor italiano que gracias a las posibilidades de creación y modelaje que le ofrece principalmente la madera, y basándose en el ser humano y en su vulnerabilidad como inspiración, recrea cuerpos con apariencia de quemados y llenos de cicatrices. Dentro del proceso de manipulación y tallado de la madera, realizado tanto con motosierras, como con cinceles y hachas, el escultor también consigue las diferentes texturas y efectos aplicando procesos naturales como fuego o incorporando resina natural. Incluso, en algunas de sus obras más recientes, ha utilizado la intervención de un robot. Otros de los materiales que componen su obra son la silicona y el bronce.

Su práctica es fruto de la herencia familiar, y de la tradición de su ciudad de origen que se remonta al siglo XV, pero modificada a una visión más personal, lírica y emocional, ligada al proceso creativo y a la reflexión. Una parte esencial dentro de la obra de Demetz son los ojos, de apariencia real y mirada expresiva que las saca del mundo estático para cargarlas de emociones y llevar a la reflexión.

Su obra ha participado en numerosas exposiciones tanto individuales como colectivas alrededor del mundo, además de formar parte de destacadas colecciones internacionales. A partir del jueves 16 de abril, de este año, y hasta el 19 de julio, la obra del artista será expuesta en la Galería Terreno Baldío (Orizaba 177, esq. San Luis Potosí, Col. Roma, México, D.F.), siendo la primera exposición del italiano en México.

La muestra presenta distintos aspectos de su trabajo, la investigación de los materiales, su continua reflexión como escultor que actualiza los procesos tradicionales, y la relación de sus piezas con la naturaleza.
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source: stylenochaser

With an Internet so wide and fast moving, it takes something really astounding to stop a person in their tracks. When we stumbled across Aron Demetz’s art online, our activities came to a screeching halt. Aron’s work has that effect – it is so insanely original and visually rich that it demands that all your senses to pay attention. We knew immediately that we had to reach out to this sculpting virtuoso. Aron was kind enough to grant us an interview and he provided answers to all our questions that were concise and thought provoking. We peppered this interview with many images of Aron’s work to immerse readers in the brilliance of his art while soaking in his words. It is important to praise amazing artists as they live and breathe because in our view, this offers the whole world great inspiration and aspiration. You will notice that Aron does not only carve wood, stain it and call it a day, he experiments with many different ways of distressing the wood – such as using fire (to create a charcoal effect), applying resin (to create a skin-like effect by using tree sap that is theoretically living), shredding the surface of figures, etc. Aron is a visual assault expert.
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source: italianfactoryinfo

Ho incontrato per la prima volta gli occhi delle sculture in resina di Aron Demetz nel 2009, nelle sale dell’Arsenale alla Biennale di Venezia, e, da allora, quegli occhi mi accompagnano segretamente nei recessi più profondi della memoria. Uso volutamente il termine “incontrato”, perché “visto” non sarebbe il termine adatto. Quegli occhi sembravano involontariamente persi, come chiusi in se stessi, quasi fissassero il nulla dello spazio attorno a loro. Eppure, conservavano una misteriosa, penetrante, persistente forza vitale, al punto che a tratti, complice la resina, una sorta di fiammata vitale pareva trasformare le sculture in veri e propri esseri animati.

L’occhio è “la finestra dell’anima”, diceva Leonardo da Vinci: e nella scultura diventa la chiave per darle il soffio vitale. Questo è avvenuto, ad esempio, nella scultura egizia e greca, con l’inserimento di materiali specifici come vetro, cristallo, pietre colorate, o attraverso la pittura dell’iride e della pupilla, o col contorno colorato delle palpebre. Questo approccio, apparentemente naturalistico, mirava a dare vitalità alla scultura attraverso gli occhi, e a mettere così chi guardava in contatto diretto ed emozionale con la stessa scultura.

Per Aron Demetz la tecnica ha una grande importanza. Demetz intaglia il legno con una naturalezza, una destrezza e abilità eccezionali, e il risultato quasi inevitabile è che le sue sculture finiscono per affascinare. Il risultato non è sempre piacevole. A volte ci sentiamo a disagio, inquieti e come indifesi nel guardare le sue sculture, così piene di graffi, di ferite, di distruzione, di dolore potremmo dire. Il fascino e l’inquietudine hanno un ruolo importante.

Aron Demetz non lascia nulla al caso nel processo di creazione della sua opera. Consapevole ed esperto nella manipolazione del materiale, egli sa in anticipo quello che vuole esprimere con le sue sculture, e sa come farlo.
Così sceglie ad esempio i materiali che vuole usare nelle diverse sculture: vuoi che si tratti di legno di cedro, di sequoia, di abete rosso, di pino o di legno di noce. Demetz scopre, divella l’essenza nascosta nel cuore della materia con la motosega o con lo scalpello, nel tentativo di strappare a ogni tronco d’albero una nuova forma di vita. Sbozza i corpi a grandezza naturale, scegliendo i gesti e le posture. Due individui – un uomo e una donna – sono ridotti ai loro atteggiamenti essenziali: un cenno della testa di lato, un leggero aprirsi delle braccia, la postura diritta, in piedi, con semplicità e grazia. Demetz ha fornito loro i tratti essenziali. Dà loro vita grazie alla resina che ha raccolto nel bosco – la linfa, il sangue degli alberi – e ne modella i corpi, li unisce uno all’altra, soprattutto nei volti. Potremmo dire che li ha resi fratelli di sangue: ma non attraverso l’atto rituale di mescolamento del sangue umano, ma piuttosto nell’atto della creazione che, attraverso l’uso del materiale, unisce il corpo maschile e quello femminile.

Aron Demetz va attentamente alla ricerca della resine delle conifere. Estrae con cura la linfa dalle ferite degli alberi. È questa massa viscosa, che si presenta in molte tonalità del marrone con riflessi gialli e rossastri, la materia che Demetz va a spalmare, una volta riscaldata e resa liquida, a volte con degli strumenti a volte con le proprie mani, sulla superficie della scultura, ricoprendola come una seconda pelle. In certi casi ha ricoperto le sculture solo nel volto, altre volte in parti del corpo o addirittura sull’intero corpo. Come un pittore, egli modula i toni cangianti della resina rispetto alla materia forte e robusta del legno. Ancora una volta, riesce, come in una lotta incruenta, a risvegliare in questo modo la linfa vitale.

(..) Non è meno sconvolgente l’effetto provocato dalle sculture ‘bruciate’. Qua il senso di disagio e di dolore arriva fin sotto la pelle. Il processo di combustione è provocato consapevolmente e con estrema radicalità da Aron Demetz, che cosparge le figure con la benzina, e dà loro fuoco. Le sculture bruciano fino a perdere i propri connotati, ma senza mai perdere il proprio portamento eretto e dignitoso. Il procedimento non è in fondo diverso da quello della raccolta della resina, che sembra contenere in sé la forma di un misterioso rituale. Non si tratta, ovviamente, né di aggressività né di sadismo, ma di un interesse per l’utilizzo dei diversi materiali in merito alla loro capacità di trasformazione. In senso metaforico, è un’esplorazione delle opzioni di crescita e di decadimento della natura umana, che include dentro di sé anche la capacità di trasformarsi. Così, come da un terreno bruciato nasce una nuova occasione di fertilità, anche nelle sculture bruciate di Demetz è insita l’idea di un nuovo germoglio, di una possibile rinascita.

Le sue sculture bruciate sono davvero inquietanti. Sono molto vicine al nostro immaginario – ci fanno tornare alla mente immagini che ci sono in qualche modo familiari, di suicidi che bruciano in mezzo alla strada o di incidenti stradali. Queste sculture ci parlano di morte e della vulnerabilità del corpo e della pelle. (…)

Lasciando da parte queste immagini di inquietudine, di trasformazioni interiori ed esistenziali, proviamo a guardare l’ultimo lavoro di Demetz, del 2014, che l’artista ha realizzato appositamente per la mostra a Rolandseck. Anche in questo caso, è trattato il tema della metamorfosi, ma questa volta in modo molto diverso nella sua realizzazione artistica.
Come tutti i suoi personaggi, fatta eccezione per quelle dei primi anni, anche le persone raffigurate in queste sculture, sia maschili che femminili, sono nude. L’abbigliamento è annullato, in quanto non deve interferire con la loro forma originaria, o chiarire in maniera troppo dettagliata la loro identità sociale.

Come in una coreografia, l’artista ha riunito una serie di figure in piedi su un grande piedistallo. Dal punto di vista compositivo, questa soluzione ricorda alcune sculture di Alberto Giacometti, realizzate intorno al 1950, che l’artista svizzero aveva riunito in un’unica base, mettendole insieme come parte di un gruppo unitario. Si tratta dell’installazione La Forêt (“La Foresta”), del 1950, a proposito della quale Giacometti scriveva: “La composizione con sette figure e una testa mi ricorda un bosco che avevo visto molti anni fa, nel quale gli alberi coi loro tronchi nudi e sottili, privi di rami fin quasi alla cima, mi erano sempre apparsi come personaggi, fermatisi nel corso delle loro peregrinazioni, a parlare tra di loro”. Ma, mentre le figure di Giacometti sono affiancate una all’altra e paiono tutte guardare un un’unica direzione, quelle di Aron Demetz sono in posizioni diverse, a volte rivolte l’una contro l’altra, altre volte isolate, con l’eccezione di una scultura che rimane sul bordo del ‘palcoscenico’ con lo sguardo perso nello spazio circostante. (…) In queste ultime sculture, non ci sono più i corpi bruciati o la pelle ricoperta di resina, ma un’alternanza di corpi perfettamente lisci, che hanno in sé qualcosa di artificiale, e di superfici ruvide, mosse da rimanenze di fibre di legno, che rimandano a una natura arcaica e animale. Mediante un calibrato controllo del processo di fresatura computerizzato, Aron Demetz dirige la rimozione del materiale di scarto del legno e modella la densità e il volume di fibre di legno che si sviluppano sulla superficie del corpo. Allo stesso tempo, indipendentemente dalla macchina e contando unicamente sulla sua abilità manuale, egli modella dei corpi lisci, estremamente raffinati, in netto contrasto con le parti che rimangono grezze (…), che rimandano con la memoria a immagini ancestrali di lupi e di una natura originaria prettamente animale.

Aron Demetz lavora con grande sincerità sul piano formale. La sua scultura in marmo intitolata “I Am” (“Io sono”), del 2010, che dà anche il titolo alla mostra, testimonia questa ricerca. “Io sono – I Am”, come si legge in grandi lettere rosse sulla base della scultura, mostra un giovane completamente immerso in sé stesso: quasi un invito all’autoanalisi, all’introspezione, alla cura del proprio io, in vista dei processi di trasformazione, a volte dolorosi, che la vita ci riserva.