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PETER BROOK

بيتر بروك
彼得·布鲁克
פיטר ברוק
ピーター·ブルック
피터 브룩
ПИТЕР БРУК

the suit

THE SUIT by Brook

source: ingressorapido

O que nos teria levado de volta a The Suit – uma peça que já tinha viajado pelo mundo por tantos anos com texto em francês? A resposta é bem simples: nada no teatro permanece imóvel; alguns temas simplesmente se esgotam e outros anseiam por voltar à vida.

Tudo começou na África do Sul, nos anos 50, quando um brilhante autor negro, Can Themba, escreveu um conto intitulado The Suit (O Terno). «Isto mudará nossa vida e nos trará fortuna», disse ele à esposa, mas o destino decidiu de outro modo. O apartheid decidiu de outro modo. Assim como aconteceu com todos os autores negros, vivos ou mortos, os livros de Can Themba foram banidos e ele exilou-se na Suazilândia, onde logo morreu de pobreza, tristeza e alcoolismo.

Só muitos anos depois é que foi possível transformar em peça de teatro o texto de Can Themba. A primeira versão surgiu em Joanesburgo, no Market Theatre, versão que foi para Londres e, mais tarde, transformou-se numa nova adaptação com título em francês: Le Costume.
Para o trio de Uma Flauta Mágica reunir-se novamente para apresentar The Suit na língua de origem (inglês) foi um processo bem natural, permeado de músicas de diversas fontes, de Schubert a Miriam Makeba, executadas e cantadas por um pequeno grupo de atores e músicos.

Assim teve início uma nova aventura.

Peter Brook
Marie Hélène Estienne
e Franck Krawczyk

The Suit

Esperava-se que o conto The Suit do escritor sul-africano Can Themba mudasse a vida de sua esposa. Tragicamente, as restrições impostas pelo apartheid fizeram com que essas mudanças tomassem um rumo inesperado. Themba precisou exilar-se na Suazilândia, suas obras foram proibidas na África do Sul e ele morreu de alcoolismo antes que seu texto mais conhecido fosse adaptado para o teatro por Mothobi Mutloatse e Barney Simon, no Johannesburg’s Market Theatre, na recém-liberada África do Sul dos anos 1990.

O renomado diretor Peter Brook já adaptara essa versão teatral e viajara com ela em turnê. O espetáculo era então falado em francês. Agora, porém, decidiu ele dar nova vida à obra fazendo-a retornar à língua de origem. Num trabalho conjunto com a colaboradora de longa data Marie-Hélène Estienne e o compositor Franck Krawczyk, a peça foi adaptada e musicada, bebendo em fontes musicais tão diversas quanto Franz Schubert e Miriam Makeba.

A história de The Suit centra-se em Philomen, um advogado de classe média, e sua mulher Matilda. O terno mencionado no título pertence ao amante de Matilda e é deixado para trás quando Philemon apanha em flagrante o casal clandestino. Para castigar a mulher, Philemon faz Matilda tratar o terno como se este fosse um convidado de honra. Ela precisa alimentá-lo, dar-lhe atenção e sair frequentemente com ele a passeio, a fim de que tivesse a constante lembrança de seu adultério. A história transcorre em Sophiatown, um populoso reduto destruído pelo apartheid pouco depois de Themba ter escrito seu conto. O lugar é tão personagem da peça quanto o infeliz casal, e, com um elenco diminuto, a direção consegue infundir vida e energia a esta nova adaptação teatral.
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source: bamorg

Based on The Suit by Can Themba, Mothobi Mutloatse, and Barney Simon
Direction, adaptation, and music by Peter Brook, Marie-Hélène Estienne, and Franck Krawczyk

“Everyone onstage is pretty close to perfect.”
—The New York Times
The renowned Peter Brook—whose 1987 production of The Mahabharata inaugurated the BAM Majestic Theater (now the BAM Harvey Theater)—returns with a moving, music-filled adaptation of South African writer Can Themba’s story The Suit.

A wife caught in the act, her lover fleeing the scene, his suit left behind. It’s the perfect recipe for a husband’s punishing decree: go on with business as usual, he says to his spouse, but take the suit everywhere you go as a constant reminder of your betrayal. Featuring an innovative staging that integrates musicians directly into the action, Brook’s tender production—fresh from sold-out runs in Paris and London—makes Themba’s tightly crafted fable sing. A hummed “Strange Fruit,” African melodies, and Schubert lieder thicken the air of this apartheid-era summer in which a shared wound was not allowed to heal.
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source: teatroecriticanet

Straordinario, innanzitutto, sarebbe che un teatro di questo livello fosse davvero accessibile a tutti, specialmente quando di mezzo c’è una corealizzazione di un teatro Stabile. E invece molti appassionati spettatori sono rimasti fuori a commentare il prezzo troppo alto dei biglietti.
Sfatato il mito (quasi una minaccia) che la sua carriera si completasse con Un flauto magico, Peter Brook è andato avanti, fluttuando a mezz’aria come solo le leggende viventi sanno fare. Recuperando la versione originale inglese di Le Costume, che aveva visto un debutto al Théâtre des Bouffes du Nord nel 1999, The Suit raccoglie le atmosfere africane con cui già il grande regista inglese aveva saputo raccontare sul consueto tappeto: con l’ausilio di un terzetto di attori incredibilmente “intonati” tra loro, di qualche sedia colorata e tre appendiabiti, il romanzo omonimo dello scrittore sudafricano Can Themba prende il volo con la stessa leggera magia con cui si soffiano al vento le piume. L’abito citato nel titolo è quello lasciato, durante una fuga fulminea, da un amante scoperto dal marito tradito e che quest’ultimo imporrà alla bella moglie come “ospite speciale”, fantasma muto di quell’adulterio, animato come un pupazzo in tutta la lugubre inespressione della sua gruccia. L’amaro e poetico apologo, con il suo sottotesto di violenza, di barbarie psicologica e di disperata lotta per la sopravvivenza civile, ricalca la realtà sociale e politica dell’Apartheid nel segno indelebile di un teatro essenziale, così preda della musicalità dei propri stessi gesti da ergersi persino al di sopra delle note alate di una chitarra, una tromba, un piano e una fisarmonica. Suonati, questi strumenti, con eccezionale maestria da un trio che non si limita ad accompagnare le scene ma che ne prende parte, risolvendo con candore quella presenza obliqua che spesso ha la musica dal vivo in scena. Stessa opera mimetica la porta a compimento un disegno luci discreto anche se non neutro, in cui transizioni e tinte non sfociano mai nella soluzione a effetto, sono più il termometro di una storia che ha respiro umano.

Nell’equilibrio perfetto tra suono, movimento, canto, silenzio, sguardi, luci e colori la scena esplode d’un tratto in un accesso di micro-catarsi, una dimensione altra in cui c’è spazio per il musical puro (lunghe tirate cantate che descrivono la messa al rogo della township o celestiali intermezzi in afrikaans che sono filastrocche da schiavi), per il mimo, per lo sfacciato allontanamento tra attore e personaggio, addirittura per l’invito sul palco di tre spettatori, installati con un agio di cui è difficile ricordare altri esempi. In questa fiaba terribile, nel fuoco gelido di questo strano e volatile arabesco rivive l’impulso verso un’epica delle piccole cose, quel racconto per immagini e per suoni in cui ci si dimentica d’un tratto l’esotismo della vicenda narrata e persino il caldo della poltrona di spettatori. A conquistare davvero è quel ritmo unico che appartiene solo a Brook, l’eco leggera delle sue indicazioni, che a farci caso potresti ravvisare in ogni gesto con la stessa sicurezza con cui adesso le vedi scomparire, nella completa e totale consapevolezza che di quel gesto stesso hanno gli attori. La sorte del povero Themba, morto in miseria nel 1968 prima di poter vedere il suo paese libero da una delle manifestazioni di violenza sociale più aspre e insieme amare della storia moderna, sta lì come sta lì quell’abito, pende su tutta la scena perfettamente piegata in quelle sue motivazioni che di voce, ormai, non hanno più bisogno.

In un teatro fatto di musica, movimento, canto e parole (testo, anzi, prima e poi parole) l’accordo tra musicisti e attori/cantanti è il ponte delicato su cui poggia qualsiasi sostenibilità scenica. In questo caso la ricerca di quell’accordo la si può dare per scontata. Ci si abbandona all’attesa semplice e dolce del momento successivo in cui di nuovo quella dimensione amplificata dove convivono racconto, evento e partecipazione emotiva tornerà a ospitare i battiti precisi di un rituale di cui, senza saperlo, eravamo già parte integrante. E insieme zelante e appassionato oggetto di sacrificio.
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source: frenchmorning

« The Suit » a été dirigée par Peter Brook, metteur en scène anglais installé en France depuis la fin des années 1970, et Marie-Hélène Nastier, sa collaboratrice de longue date. La pièce débute sur un vaudeville : une femme trompe son mari, le mari les découvre, l’amant s’enfuit et oublie sa veste: « the suit » (« le costume »). Le mari décide alors de faire porter à sa femme le poids de son infidélité. Elle devra emmener avec elle, partout où elle va, la veste oubliée. La musique du compositeur français Franck Krawczyk accompagne les acteurs sur scène.

Le mari est interprété par le comédien français William Nadylam. On a pu le découvrir au cinéma dans « Mauvais genres » de Francis Girod, « Les enfants du pays » de Pierre Javaux ou encore « White material » de Claire Denis. Le comédien cumule aussi de nombreuses expériences au théâtre, que ce soit en français ou en anglais. Cette pièce signe la deuxième collaboration entre Nadylam et Peter Brook. Les deux hommes avaient travaillé ensemble il y a dix ans lorsque que Brooke était le metteur en scène de « La tragédie d’Hamlet » de Shakespeare dans laquelle Nadylam jouait le rôle principal.
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source: cinranet

御年88歳となるイギリス人演出家・ピーター・ブルックが、世界の演劇界で有数の巨匠であることは、多くの人の同意するところだろう。いったいどれくらいすごい人物なのか、演劇を知らない人に説明するならば「演劇界のポール・マッカートニー」とでも形容すれば伝わるだろうか。

21歳で最年少招待演出家として名門・ロイヤル・シェイクスピア・カンパニーに招かれると、世界の演劇シーンにその名を轟かせたピーター・ブルック。彼自身が最上の演劇と語るシェイクスピア戯曲を中心に、オペラや映画監督としてもその演出の才能を発揮し、日々新たな作品を生み出し続けている。また、1968年、彼が執筆した演劇の理論書『なにもない空間』(晶文社)は、母国イギリスのみならず15か国以上で翻訳され、刊行から45年の月日を経た現在でも、演劇人のバイブルと言っても過言ではない煌めきを放っている。

後世に与えた影響の絶大さもさることながら、イギリス的価値観を代表する芸術家であること、年齢を重ねても精力的に作品を発表し続け、シーンをリードしていく姿勢。さらにシェイクスピアを基礎にオペラから前衛まで、あらゆるジャンルを手がける幅の広さなど、まさしくポール・マッカートニーに勝るとも劣らない偉大な業績を築き上げてきたピーター・ブルック。彼による新作『ザ・スーツ』が、11月よりパルコ劇場で上演される。これを機会に、改めて巨匠が辿ってきたデビューから70年間(!)の足跡を振り返ってみよう。

PROFILE
ピーター・ブルック
1925年ロンドン生まれ。オックスフォード大学在学中、『フォースタス博士』で初演出。46年、シェイクスピア記念劇場(現RSC)において史上最年少の演出家となり『恋の骨折り損』を演出。その後も『リア王』、『真夏の夜の夢』、『アントニーとクレオパトラ』などを演出。71年、ミシェリーヌ・ロザンと共に国際演劇研究センターをパリに設立。74年には、20年以上廃墟となっていたブッフ・デュ・ノール劇場を開場し、『鳥の会議』『桜の園』『テンペスト』『マハーバーラタ』など話題作を次々と発表。映画監督としても活躍し、『蝿の王』『雨のしのび逢い』『注目すべき人々との出会い』など。主な著書に、15カ国以上に翻訳された『なにもない空間』『秘密は何もない』、自伝『ピーター・ブルック回想録』など。
THE SUIT
さまざまなサブカルチャーが生み出された1968年、それまでとは一線を画す、新たな演劇が生み出される

「どこでもいい、なにもない空間―それを指して私は裸の舞台と呼ぼう。ひとりの人間がこのなにもない空間を歩いて横切る。もう一人の人間がそれを見つめる―演劇行為が成り立つためには、これだけで足りるはずだ」

何やら、ひどく当たり前なことを言っているような気がするし、何を言ってるんだかさっぱりわからないような気もする……。大学などで、現代演劇概論といった講義を受講しようものなら、学生たちは必ず、ピーター・ブルックによるこの『なにもない空間』の一節にぶち当たる。そして、その意味を理解して興奮を覚える学生もいれば、意味を理解できずに、授業に顔を見せなくなる学生もしばしばだ。

70年間にわたって、数多くの演劇人に大きな影響を与えてきたピーター・ブルック。少し大げさかもしれないが、もしも『なにもない空間』のこの一文がなかったら、現代演劇は全く別の方向に舵を切っていたとしても不思議ではない。ポール・マッカートニーとの比較を続けるならば、「もしもビートルズが『Revolver』を作っていなかったら……」という仮定と同じかそれ以上に、同時代や後の世代にまで大きな影響を与えている著作なのだ。

では、どうしてこの一節が特別な意味を持っているのだろうか? 

演劇は、しばしば「文学」の一ジャンルとして捉えられることがある。たとえば、芸術学科のない大学で演劇を学ぼうと思った場合、文学部がその受け皿となることが多い。しかし、これは、よくよく考えてみると変な話だ。劇場で行われる「公演」こそが演劇であるはずであり、演劇は文学とは全く別のものである。にも関わらず、「演劇=文学」とみなされてきたその根拠となっているのが演劇の台本「戯曲」の存在。「演劇とは何か?」と問われた場合、そこで語られる言葉が書かれた「戯曲」こそがその本質としてみなされてきた。演出家の役割は、演劇の本質である戯曲を「正しく」解釈し、俳優の仕事は戯曲に書かれたセリフを「正しく」届けること。ヘンリック・イプセン(ノルウェーの劇作家。近代演劇の父と称される)の『人形の家』に始まるとされる近代劇の歴史は、そのまま「戯曲の歴史」だったと言い直しても問題がないだろう。

確かに、戯曲はとても大切なものであるが、演劇においてそれが全てではない。多くの観客にとって、それは演劇の1つの要素にすぎないのだ。戯曲に書かれた言葉と同じかそれ以上に、戯曲に書かれていない俳優の存在感や、役の気持ちの流れ、舞台に流れる空気感などは、演劇のとても大切な要素となる。いくら、楽譜通りに弾いたところでビートルズの持つグルーヴが生み出されないように、戯曲だけでは演劇の真の喜びは生み出し得ない。演出家には、戯曲には書かれていないニュアンスをつかみとり、それを観客に届ける義務があるのだ。

『なにもない空間』に書かれたピーター・ブルックの言葉は、まさに戯曲の牢獄から演劇を開放するための言葉だった。演劇を演劇たらしめるのは、劇作家の書いた文字ではなく、なにもない空間に置かれた俳優の存在である。折しも、『なにもない空間』が発表されたのは世界中で同時多発的にさまざまなサブカルチャーが生み出された1968年。日本でも、天井桟敷の寺山修司、状況劇場の唐十郎などによって「アングラ演劇」という新たなムーブメントが勃発した時代だ。ピーター・ブルックの言葉に呼応するように、世界中の国々でそれまでの演劇とは一線を画す、新たな演劇が生み出されていった。